domenica 29 giugno 2014

Un giorno di ordinaria disintermediazione

L’avvento del web ed il suo ruolo ormai di ambiente naturale delle nostre abitudini ha stravolto in poco tempo il mercato turistico in tutta la sua filiera e in tutti i momenti del viaggio.

La digitalizzazione e condivisione, nelle varie espressioni permesse online, delle esperienze di vacanza ha amplificato il passaparola che resta il principale “strumento” di scelta: pregi e difetti delle strutture turistiche, hotel o ristoranti, vengono messe a nudo e, al netto delle opinioni degli estensori, le aziende diventano “case di vetro”. La nuova democrazia della condivisione del web 2.0 costringe a comunicare quanto più fedelmente possibile ciò che si promette nei siti web, nelle campagne promozionali e quant’altro. Un piccolo esempio qui sotto tratto da Oyster sulla vicinanza di un hotel di Washington al Campidoglio.

(dal sito dell'hotel)
(la realtà fotografata da Oyster)

Il rovescio della medaglia dell’era della “connessione permanente” è la forma monopolistica, od oligopolistica, di certi canali distributivi: pur in un mercato di tanti attori, alcuni di questi hanno acquisito una forza ed una presenza maggiore di altri, come Booking.com (priceline) ed Expedia, che spesso vengono sorpresi a….. mangiare i pesci (le altre OTA, Online Travel Agency) più piccoli.
Tale posizione di forza rende questi intermediari così opprimenti da mettere in difficoltà i tanti piccoli fornitori (alberghi) del mercato, tanto da scatenare azioni sindacali verso certe clausole degli accordi (peraltro firmati e controfirmati) commerciali (vedi l’indagineAntitrust di maggio 2014). Se da una parte questi portali offrono una grande visibilità alle aziende ricettive, dall’altra è ovvio che fanno i propri interessi.

Ma anch’essi devono cercare di fare il proprio lavoro in maniera corretta. E per esempio raccontiamo una storia (realmente accaduta) su booking.com.

E’ in uso negli hotel avere delle tariffe legate alla occupazione delle proprie camere: ad esempio 100 € per una camera occupata da due persone, 70 € per la stessa se occupata da una persona. Fino a poco tempo fa questo albergatore non aveva utilizzato questa tariffazione di una singola occupazione anche sull’ota in questione….finché non si accorge di un fatto strano: se si fa una ricerca di una camera per due adulti, non appaiono solo i prezzi di una camera con doppia occupazione ma anche quelli con la singola occupazione (chiaramente negli hotel che utilizzano questa funzione su booking). 

(un esempio tratto da booking.com)

Nella mente di un qualsiasi potenziale cliente che ha fatto tale ricerca, è chiaro che l’occhio cadrà, a parità di condizioni, sul prezzo più basso, senza tener conto dell’iconcina della persona singola (del resto aveva fatto una ricerca per due). Quindi - pensa l’albergatore - questa cosa può provocare confusione e conseguenti equivoci. Bisognerà escogitare un altro modo per vendere la tariffa uso singola su booking.com e non tener conto dell’assistenza del portale che dice che il sistema così fatto è di default ed è fatto apposta perché “se magari chi prenota vuol portare amici in singola…” (sic!).

Ma ecco la sorpresa, il colpo di scena. Se anche nei giorni passati, visto l’aumento non usuale di vendite di singole tramite il portale, l’ufficio prenotazioni si era preso la briga di verificare che la prenotazioni fossero realmente delle doppie uso singole, arriva chi aveva prenotato una tariffa singola, pensando fosse una doppia.

Si sa, quando l’ospite arriva è stanco e se c’è qualcosa che non va, è più irritabile e quindi va trattato con delicatezza. Ma è meglio affrontare il problema subito e non all’atto del conto, altrimenti si rischia di essere presi da “truffatori”. Quindi si spiega la questione all’ospite appena arrivato che, ovviamente, riferisce di aver prenotato una doppia al prezzo (ritenuto) della doppia, mentre l’hotel spiega di aver ricevuto la prenotazione di una doppia ma al prezzo di un’occupazione da singola. E confrontano la rispettiva documentazione.

E qui casca l’asino: il fax dell’hotel indica una camera per una persona, la mail di conferma all’ospite indica una camera “per massimo due persone”. Tutte e due arrivate da booking.com.

(il fax di prenotazione arrivato all'hotel da booking.com)



(la mail della stessa prenotazione arrivata all'ospite)

Si gioca sulle parole, ma è una clamorosa scorrettezza.

Prescindendo da quelle che potranno essere le azioni “sindacali” o legali, per combattere le angherie del monopolista non si può che usare l’arma della democrazia della condivisione: nella fattispecie lo stesso cliente ha compreso benissimo dove sta l’equivoco provocato dalla OTA e anzi in qualche modo è venuto incontro all’albergatore. Ma soprattutto ha condiviso il problema e, probabilmente, sarà nel futuro un cliente disintermediato.

Una buona fetta di clientela che ha confidenza con gli strumenti web, infatti, è sempre più maturo e approfondisce. Pensiamo a quanti non solo leggono le recensioni, ma anche le risposte degli albergatori o dei ristoratori. E così molti internauti/clienti “giocano” sul fatto che l’albergatore paga una commissione alle OTA per spuntare prezzi più bassi con prenotazioni dirette.

Bisogna incanalare tale maturazione del mercato su un piano di alleanza tra hotel e clientela, così da sfruttare i booking engine degli alberghi perché più sicuri, più diretti, più chiari, più umani…

Ma ce l’abbiamo il booking engine sul nostro sito?

P.S.: l’albergatore della storia di cui sopra si J



Commentate pure, meglio però se non siete d’accordo

mercoledì 25 giugno 2014

Il turismo non esiste

Ma esiste l’accoglienza.

Il titolo di questo post non vuol far chiudere il blog, che, a parte qualche deviazione qua e là, affronta per lo più argomenti di carattere turistico. Tuttavia è la sintesi a cui si può arrivare dopo l’incontro con il Prof. Dall’Ara di lunedì 23 giugno, organizzato da Sistema Museo e Ama.Tur con provincia e comune di Grosseto. Era uno dei quattro appuntamenti di Destinazione Maremma su “turismo e social hospitality” nella nostra provincia: un approfondimento sui nuovi mezzi per comunicare e raccontare il proprio territorio.

In verità, il relatore non ha utilizzato questa espressione così tranciante, ma quasi: secondo lui sono i turisti che non esistono. Allargando il ragionamento ci si accorge, però, che non esiste neanche il turismo.

Riprendendo le tesi di Dall’Ara (sperando di non stravolgerle), noi italiani, operatori turistici in senso lato (dagli amministratori pubblici ai negozianti, dagli uffici informazioni agli hotel, ecc. ecc.), sappiamo fare meglio l’accoglienza che la promozione. A parte gli svarioni di comunicazione portati ad esempio (come il depliant dell’expo trovato a Canton in cinese tradizionale: come se da noi lo scrivessero in latino), il dato più eclatante è quello secondo cui l’Italia è la meta più ambita nel resto del mondo, ma tale primato non corrisponde un altrettanto predominio in termini di arrivi dall’estero. Insomma gli stranieri ci sognano…poi si svegliano e vanno da un’altra parte. Di sicuro da chi si sa vendere meglio.

E allora, considerato che il passaparola - che sia online od offline poco importa - è ancora oggi l’ispiratore migliore nello scegliere i luoghi di vacanza, sono gli attuali ospiti i nostri promotori di domani. Quindi accogliamoli bene, anzi meglio.

Infografica sui risultati di una ricerca di Google e Ogilvy su quali fonti influenzano le decisioni d'acquisto

L’operatore italiano deve “solo” che esprimere quello quanto è già insito nella propria cultura e tradizione. E in questo l’analisi del linguaggio viene in aiuto: il termine “ospite” (che deriva dal latino “hospes”) ha il doppio significato di riferirsi a chi ospita e a chi riceve ospitalità. E’ un bellissimo esempio per capire quanto profondamente la capacità di accogliere sia innata nel popolo latino, che va oltre l’affitto della camera o del posto letto: è un incontro tra chi arriva e chi risiede in un determinato luogo, senza barriere, quasi fosse un abbraccio.

L’accoglienza è quindi una cultura, è un modo di essere, uno stile di vita ed è un’esperienza che si può far vivere a chi viaggia. Non è quindi solo un problema economico perché non può essere valutato in termini monetari: lo si può percepire quando una serie di caselle sono messe al loro posto. Si tratta di un sistema dove hanno importanza le risorse umane, non solo per la cortesia che possono esprimere, ma soprattutto per la competenza e la vocazione nel ruolo che ricoprono; l’organizzazione degli spazi in cui fisicamente si accolgono i propri ospiti (intenderei nello spazio non solo il tangibile, ma anche il suono e il profumo); il linguaggio con cui ci si rivolge, sia per i contenuti (chiaramente appropriati al contesto) sia per il tono; la relazione che si instaura grazie all’ascolto, al tempo e all’attenzione dedicata, alla fiducia ed all’amicizia instaurata.

Il significato di accoglienza espresso da Dall’Ara è quindi molto più profondo di quello letterale. Ed anche più ampio, nel senso che non riguarda solamente l’operatore alberghiero o il commerciante: in una destinazione turistica i residenti e l’intera comunità con cui ha a che fare un ospite che vi giunge fanno parte del sistema dell’accoglienza. Il turista, che non è più tale, perché sia realmente ricevuto deve saper e poter vivere come un abitante del luogo.

“reinterpretare i prodotti in chiave relazionale”

Ecco dunque che il turista non esiste. Non è più un cliente, è un ospite, che sentendosi uno di noi, condividerà e racconterà la propria esperienza al ritorno, incuriosendo altri potenziali ospiti.

E’ il marketing dell’accoglienza sintetizzato in pochissime righe, che supera l’accezione negativa che ha acquisito nel tempo il termine “turista” e “turistico”. Basti pensare al “menù turistico” che equivale a dire “pochi euro per poca qualità, tanto per evitare la fame”.

Ma se non esistono i turisti, non esiste neanche il turismo. Non è così consequenziale, ma quasi.


Laddove si viene accolti in un contesto dove la qualità della vita è buono, anche l’esperienza del viaggiatore sarà positiva e da replicare. In questo ragionamento vale il territorio, come ambiente salubre e come valore paesaggistico, lo stile di vita, come atteggiamento propositivo e culturale di una comunità, e altri attori e fattori che influiscono sul buon vivere. Pensiamo ai servizi pubblici, come la viabilità (o meglio mobilità), il servizio idrico e fognario, i servizi di comunicazione in genere (dalla posta all’adsl), la sicurezza, la pianificazione urbanistica, sia per la tutela ambientale sia per lo sviluppo dei servizi alla persona, ecc. ecc. Quei servizi e quell’insieme di fattori che determinano se si vive bene o meno in un determinato luogo, sono gli stessi che stanno alla base dell’identità di una destinazione turistica. Pardon, della buona accoglienza.

Sotto un altro punto di vista, un assessore all’urbanistica che decide di far costruire un hotel in una posizione particolare oppure di fare un parcheggio sotterraneo vicino ad un tratto di costa accessibile, al pari di un assessore al personale che propone ai vigili un corso di lingua inglese, determinano la maggiore o minore propensione all’ospitalità di un comune e di un territorio più di un loro pari grado con deleghe al turismo.

Quindi cos’è il turismo? Niente, come una volta disse il Prof. Barucci, un economista che si è anche occupato della materia. Oppure, ancora più semplicemente, non esiste (sempre che si comprenda la sottile differenza tra "essere niente" e "non esistere").


Dall’accoglienza al marketing dell’accoglienza. E quindi anche dalla politica del turismo alla politica dell’accoglienza.





Commentate pure, meglio però se non siete d’accordo