domenica 27 ottobre 2013

Da Petrini a Farinetti al turismo, il piacere come soluzione della crisi

Senza voler affrontare tematiche sulla politica (più o meno) d’attualità, l’intervento conclusivo della seconda giornata alla Leopolda (il raduno dei seguaci di Matteo Renzi), di sabato 26 ottobre, ha affrontato il tema della coscienza civica, non solo riferito alla politica, ma a tutti gli italiani; è stato Oscar Farinetti, l’imprenditore inventore di Eataly, ad utilizzare queste due parole per individuare un disegno di prospettiva futura per la politica italiana. Prescindendo dal recinto politico e partitico a cui evidentemente si voleva riferire, prendiamo solo i concetti-chiave espressi da Farinetti.

La premessa è la crisi nazionale che stiamo vivendo, ma soprattutto l’impasse in cui il sistema paese si è “incriccato” senza trovare una via di uscita: quale la soluzione per uscire da questa situazione? Una soluzione semplice, a detta dell’ideatore di Eataly: “se il singolo cittadino non ha coscienza civica questo paese non si smuove”. E non si riferiva soltanto al singolo, ma di conseguenza alle associazioni di categoria, alle parti sociali, ai gruppi perché in questo momento di crisi tutti stanno egoisticamente difendendo i propri interessi di parte. Serve invece un rinnovato senso civico che prevalga nelle scelte di tutti (dal governo ai cittadini, passando per gli enti intermedi) al contrario del corporativismo imperante. Come invertire questa tendenza? Col buon esempio che le istituzioni devono dare, diventando un obiettivo di governo. Se il cittadino vede buoni esempi che arrivano da chi li amministra, la coscienza civica prenderà facilmente piede tanto che diventerà un vero e proprio piacere. “In America uno che non paga le tasse non cucca”, questa l’idea di Farinetti. Il piacere quindi come elemento trainante di una vera e propria azione politica (nel senso più alto del termine) con un obiettivo di breve termine quale quello del ritrovamento del senso civico e un obiettivo di più lungo termine quale quello di uscire dalla crisi.

Il tema del piacere come sfondo di una strategia per cambiare uno status quo ricorre anche nei pensieri di un altro personaggio, già preso ad esempio in questo blog: Carlo Petrini, patron di Slow Food e Terra Madre.
Del resto Farinetti e Petrini hanno già un grosso punto di contatto grazie proprio alle loro "creature", rispettivamente Eataly e Slow Food, e quello del piacere è solo una conferma.
Già nel libro del 2009 su “Terra Madre”, Petrini individuava nel piacere un diritto di tutti i popoli come chiave per “non farci mangiare dal cibo”. Il piacere alimentare permette di scegliere con consapevolezza, senza demandare ad altri la scelta del cibo, evitando così l’omologazione dei prodotti e del gusto.

Il diritto al piacere, infatti, è uno dei pilastri su cui fonda l’ultimo documento congressuale 2010-2014 dell’associazione italiana di Slow Food, “Le conseguenze del piacere”, dove si legge, tra l’altro: “Il piacere è una condizione dell’impegno e viceversa. Perché c’è del piacere nell’essere impegnati, mentre l’impegno dà la possibilità di continuare a provare piacere […] impegnarsi per un mondo sostenibile è un’attività piacevole, che presuppone il piacere e non ha a che vedere con rinunce o mortificazioni dei sensi […] il piacere non è elitario e non ha nulla a che vedere con gli eccessi, ma piuttosto ha a che fare con la misura, con quel buon senso che si dovrebbe applicare in tutti i momenti della nostra vita”.

Concetti quindi che vanno a braccetto con la considerazione da cui siamo partiti in questo post, e cioè che la soddisfazione nello svolgere anche dei compiti impegnativi è un motore che può attivare un circolo virtuoso.

E l’appagamento crea azione, come avevamo affermato, trattando uno dei tanti temi del web marketing turistico, a riguardo del rapporto tra reputazione e soddisfazione (vedi post di luglio). 

L’importante è che l’azione che ne consegue sia sul binario giusto, quello del buon senso o dell’educazione civica, basi a loro volta del recupero del nostro sistema nazionale, che oggi sembra a corto, non solo di produzione e lavoro, ma anche di idee e fantasia.

Il piacere, quindi, per il rilancio?     





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giovedì 24 ottobre 2013

Smart Cities, una visione 3.0 per il futuro delle città

“Smart Cities, gestire la complessità urbana nell’era di internet” di Michele Vianello (Maggioli
Editore) è un libro che potrebbe sembrare dedicato a professionisti di urbanistica e tecnologia o a pubblici amministratori. In realtà, per l’argomento che tratta e per l’impostazione data dall’autore, ha un orizzonte più ampio di quello che il titolo vorrebbe offrire. Il tema infatti non è tanto la città, come fisicamente la immaginiamo o la vediamo, quanto la possibilità di viverla e di plasmarla secondo le innovative possibilità che offre internet, la condivisione del social networking, il cloud computing, il crowdsourcing e tutto quanto è messo a disposizione dalla tecnologia ICT (Information and Communication Technology). E, come ripetutamente ci ricorda Vianello, la città intelligente non è un insieme di hardware e software, bensì “il luogo dove le persone, usando consapevolmente il web, beneficiano di conoscenza diffusa, la vivono e la implementano costantemente attraverso le loro attività”; è un processo, in continua evoluzione, perché in continua evoluzione sono quei fattori abilitanti che facilitano la condivisione dei dati e delle informazioni (tra city users e Governance della città, ma in maniera bidirezionale), creando conoscenza e facilitando lo sviluppo e il miglioramento della qualità della vita.
Un esempio banale, ma utile a capire il concetto, è quello del traffico (pag. 44): “i commenti che ognuno di noi posta su Twitter ogni mattina taggati #traffico possono costituire una fonte infinita di conoscenza generata “sul campo”, a disposizione di una Governance cittadina che deve concordare decisioni in materia di viabilità pubblica.

Ma è quasi riduttivo confinare questa visione in una city, è l’immagine del futuro di qualsiasi comunità.

Naturalmente, alla base di tutto c’è il web, come strada dove viaggiano i dati, e gli oggetti, che dialogano grazie ad esso (internet of things). Ma non solo. La comunicazione e la condivisione è tra oggetti, persone, processi: sono le persone intelligenti che fanno gli oggetti smart. Siamo certi che anche l’autore supererebbe la definizione di Internet of Things per approdare a quella di Internet of Everything.

The Internet of Everything is the intelligent connection
of people, process, data and things.



Tutta la prima parte del libro è dedicata a descrivere la vision della smart city, fino ad una sintesi di principi per definire compiutamente e schematicamente la città intelligente e la rivoluzione che si porta dietro.

59. La città intelligente, la fine di tutte le vostre certezze. L’inizio di una società migliore

Se ci fermiamo a riflettere, l’uso di smartphones e delle apps, piuttosto che dei social network oppure di Skype, ha cambiato e migliorato la vita quotidiana e, in particolar modo, professionale di molti di noi, ma l’appello che lanciano i capitoli del libro, alle Pubbliche Amministrazioni in particolare, è di esserne consapevoli e permettere di aumentarne le potenzialità. Ed uno dei tanti ostacoli da superare è quello della privacy per aprire i dati e le informazioni che sia i privati che il pubblico producono di continuo. Il flusso dei dati va aperto perché “la città così impara e insegna”, ma serve una nuova consapevolezza sul valore da dare alla privacy. Secondo l’autore, è la Governance della città intelligente (intesa non solo come istituzioni democratiche ma allargata agli stakeholder della city) ad acquisire tale consapevolezza, promuovendo, per finalità pubbliche, pratiche di condivisione di apertura dei dati.

La seconda parte del libro decreta la fine della pianificazione strategica delle città: se nel ‘900 si pianificava lo sviluppo di una città destinando aree alle varie attività umane (sociali ed economiche), finendo col consumare territorio in periferia, la tecnologia ICT consente di superare le necessità dello spazio fisico e temporale dei lavoratori per le loro attività, evitando così di progettare ulteriori espansioni urbane.
Si devono muovere i dati, non l’uomo, consentendo al lavoratore di non spostarsi da casa, di lavorare per obiettivi (e non per orario) e alla città di respirare, diminuendo le congestioni di traffico per gli spostamenti delle persone verso i luoghi di lavoro. Il lavoro si decontestualizza.

In molti punti, l’autore sottolinea le conseguenze positive sull’ambiente (per il traffico, per il risparmio energetico) di questa rivoluzione; così come non dimentica la necessità di superare il digital divide tra generazioni e tra comunità o classi di persone.

Nella parte finale vengono poi descritti alcuni progetti di innovazione intelligente della città: dalla scuola sostenibile ai trasporti intelligenti, dalla Smart Health alla dashboard per la Governance. Infine si cerca anche di dare dei consigli di ordine organizzativo ad un potenziale sindaco che volesse aggiungere nel proprio programma elettorale l’obiettivo di rendere smart la propria città (del resto l’autore è stato Vicesindaco di Venezia).
E’ chiaro che sono necessari alcuni fattori (wifi, open data by default, cloud computing, pratiche di bring on your device, partecipazione dei city users), ma la Pubblica Amministrazione insieme ai principali attori della città devono superare gli ostacoli per lo più culturali affinché l’innovazione tecnologica possa produrre sviluppo sostenibile economico e sociale (principio n. 3: la città intelligente è popolata da persone e imprese intelligenti, ed è amministrata da Governance intellingenti).

L’hardware per una smart city esiste già, quello che manca è il coraggio di sognare.

Ogni qual volta nella società si manifesta una devianza di un certo rilievo, i paladini dello status quo insorgono per denunciare pubblicamente l’immoralità. Liberare gli schiavi fu proclamato immorale. Lo stesso avvenne per il voto alle donne, per non parlare del movimento per il lavoro femminile. Qualche generazione dopo, la maggiora parte di noi è giunta alla conclusione che a essere immorale era lo status quo – perlomeno riguardo a tali questioni – e che la nuova normalità (quella ai tempi bollata come devianza) configura anche la nuova etica. No, essere strambi non significa essere immorali.

Questa la citazione di Seth Godin (“Siamo tutti strambi. La nuova era del marketing su misura”, Sperkling&Kupfer, 2011) con cui si conclude il libro invitando a riflettere sulla visione al futuro che le sue pagine contribuiscono a darci.




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lunedì 21 ottobre 2013

Un primo bilancio della stagione estiva, su Maremma Magazine

MaremmaMagazine è un mensile, cominciato ad uscire nel 2003, che raccoglie informazioni turistiche e culturali della terra di Maremma. Si occupa anche di attualità che riguarda comunque turismo e cultura, oltre ad eventi e spettacoli: una rivista insomma che racconta la vita del nostro territorio e della sua gente, offrendo così al lettore, turista o indigeno che sia, informazioni aggiornate e momenti immortalati dalla redazione. Contattato dal “padre” della rivista, Celestino Sellaroli, ho volentieri contribuito, con un mio punto di vista da operatore, ad un articolo sulla stagione estiva 2013: son partito da un po’ di dati statistici della struttura alberghiera dove lavoro per allargare il ragionamento a  considerazioni di carattere più generale.

Lo riporto, insieme alle pagine che l’hanno ospitato sul magazine (n. 9 di ottobre 2013):

Il bilancio che si può fare di questa stagione in via di conclusione presenta luci ed ombre. Partendo dai numeri dei tre mesi estivi abbiamo constatato dei miglioramenti in termini di presenze rispetto al 2012, più marcati per gli italiani (+12%) che non per i flussi stranieri (+3%). Per il mercato estero si può senz’altro parlare di un consolidamento, visto che già l’anno passato si era registrato un aumento delle presenze rispetto al 2011, mentre  per il mercato italiano si può parlare di un “risveglio”, dato che proprio la stagione 2012 aveva rilevato un decremento importante.

Un altro dato che abbiamo monitorato nella nostra struttura è quello del soggiorno medio che per gli stranieri si attesta a 4,19 giorni, mentre per gli italiani a 3,34, sempre calcolato sui mesi di giugno-luglio-agosto.

Tra gli stranieri, negli ultimi due anni, si stanno consolidando gli arrivi dei russi, che sono diventati quelli che registrano più presenze internazionali, superando i cittadini di lingua tedesca; al terzo posto gli inglesi e al quarto i turisti scandinavi.

Per completare il quadro statistico, quest’anno, per la prima volta da quando il Baia d’Argento esiste, le prenotazioni intermediate (da agenzie di viaggio, tour operator, e soprattutto OTA – online travel agency) hanno superato le dirette (55,87 contro 44,13). Hanno contribuito a questo sorpasso, in maniera preponderante, le agenzie di viaggio online (vedi booking.com), a dimostrazione di come e quanto il mercato si stia spostando sulla rete. Questo non vale soltanto per la ricerca delle informazioni, ma soprattutto per la procedura di prenotazione e, dopo il viaggio, per le” famigerate” recensioni.

Per stare in linea con questo nuovo mondo, non solo ci dobbiamo attrezzare, ma dobbiamo essere continuamente aggiornati e attenti a tutte le novità che il mercato e i suoi canali commerciali offrono. Per questo siamo presenti con un nuovo sito internet, che offre una bella vetrina del territorio, un sistema di prenotazione innovativo, un’integrazione con i social network e un tour virtuale (tramite street view di google).

Se i numeri positivi che ho elencato possono rappresentare la luce di un resoconto positivo stagionale che ci ha permesso di mantenere inalterati i livelli occupazionali, non vanno nascoste le ombre. Non possiamo certamente dirci fuori dalla crisi o in via di ripresa, perché questa stagione è comunque iniziata tardi e la difficoltà della clientela a spendere è palese. La tendenza ad approfittare delle promozioni e delle offerte è molto più marcata rispetto agli altri anni e ed è diminuita la propensione a spendere extra.
Anche se settembre sta dando davvero buone soddisfazioni in termini di richiesta, più da parte della clientela internazionale, e pur se il bilancio definitivo sarà migliore delle aspettative e dell’anno passato, non possiamo certo accontentarci, come si sente dire in giro. Siamo ancora lontani, dai numeri di tre stagioni fa e dobbiamo continuare sulla strada della differenziazione dei canali di vendita e sul miglioramento della reputazione delle nostre destinazioni. Solo la qualità “interna” delle nostre strutture ed “esterna” dei nostri  luoghi può farci emergere in un mercato mondiale così severo e brutalmente concorrenziale.






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mercoledì 16 ottobre 2013

Il GozzoBlog, un giorno nel mare dell’offline

Per un giorno il blog ha navigato dal mare del web all’offline del Tirreno: non il mare, il quotidiano.
Oggi (16 ottobre) sul giornale livornese, infatti, è stato pubblicato un articolo su questo blog, grazie ad alcuni momenti di confronto col corrispondente locale, Sabino Zuppa, sulla stagione turistica estiva e sulle questioni del turismo in generale. Ne sono uscite alcune considerazioni ed una presentazione delle “Rotte del Gozzo”, inserite “di spalla” rispetto ad un articolo centrale sui numeri, peraltro positivi, dei flussi turistici riscontrati dall’Argentario nei 3 mesi estivi dell’alta stagione 2013.

Fa piacere che una pagina locale sia stata quasi interamente dedicata al turismo del promontorio e naturalmente anche a questo mio angolo sul web, che per un giorno ha goduto di una promozione offline, con l’augurio che possa tradursi in qualche lettore in più.

Riporto l’articolo di seguito:

IL BLOG Un Gozzo che naviga nelle rotte del web...

MONTE ARGENTARIO C’è una luce in fondo al tunnel per le strutture turistiche di Monte Argentario che operano sfruttando il booking online collegato agli strumenti del web 2.0, in cui gli utenti sono protagonisti e contribuiscono a generare i contenuti dell’offerta turistica. La pensa così un direttore d’albergo del promontorio, Gianluca Gozzo, conosciuto anche per aver “rischiato” di essere lo sfidante di Arturo Cerulli nelle passate elezioni amministrative. E non solo. Gozzo è noto anche per il suo blog “Le rotte del Gozzo”, una pagina web che appassiona e che, ultimamente, ha visto la partecipazione al dibattito di Leonardo Marras, riguardo a una discussione che contrapponeva l’iniziativa dei Maremmans, voluta dalla Provincia e relativa alla promozione fai da te degli operatori, con la candidatura di Grosseto a capitale della cultura, sempre proposta da personaggi privati ma non appoggiata dal presidente. Una pagina che aggiorna periodicamente sulle nuove frontiere dell’offerta turistica grazie all’esperienza lavorativa di Gozzo, direttore da anni dell’Hotel Baia d’Argento al Pozzarello: «La mia è un’idea nata due anni fa dice - proprio perché riguardava il mio lavoro e poteva darmi la possibilità di confrontarmi con altre persone del settore turistico. Attualmente sono arrivato a circa 200 persone che seguono le pagine del blog, con la speranza che la cifra aumenti. Questo perché ritengo necessario, se non indispensabile, che ci sia un confronto tra le idee di tutti gli operatori del settore, con proposte scritte nero su bianco e sulle quali discutere ed interagire. Del resto la promozione turistica pubblica non esiste più e sono gli imprenditori che devono farla da soli: sono convinto che gli alberghi si avvantaggiano perché hanno più possibilità di sfruttare piattaforme informatiche o di booking online che ormai fanno la differenza rispetto ai metodo tradizionali. Alla gente piace approfittare delle offerte, piace fare i confronti di prezzo direttamente sul web ed è meno propensa alle spese extra di bar e ristorante: tutte cose di cui bisogna tenere conto per poter ritornare ai numeri di qualche anno fa – conclude Gozzo – Quest’anno ad esempio le presenze dei russi hanno superato i tedeschi, e a settembre una buona mole di lavoro ci ha fatto capire che se si opera nella giusta maniera, il turismo all’Argentario ci può dare delle soddisfazioni». (s.z.)

Mi scuserete per questo post autocelebrativo, ma ogni tanto ci sta J


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mercoledì 9 ottobre 2013

E-Commerce: l’analisi quantitativa di Assist

In un post di luglio venne illustrata una ricerca qualitativa di Assist, sul mondo dell’e-commerce; il 4 ottobre a Roma, nel corso dell’ottava edizione della UXMasterclass (conferenza internazionale semestrale che riunisce i migliori esperti al mondo sui temi di User Experience e Interaction Design) quest’analisi è stata integrata e completata con una ricerca quantitativa, basata su un campione di 1.000 utilizzatori italiani di servizi di e-commerce.
Naturalmente gli obiettivi restano quelli di capire il comportamento degli utenti nel fare shopping online.

Secondo questa analisi il 50% degli intervistati effettua almeno un acquisto al mese per una spesa media di 40 euro sempre su base mensile, mentre nelle risposte sul dove acquistare prevalgono i rivenditori (solo) online multimarca (68%) e le aste/annunci di privati e aziende (53%); non superano il 50% di interesse i rivenditori multimarca che hanno anche negozi fisici (45%), i siti di couponing (31%), l’e-commerce di un particolare marchio (26%) ed ultimi gli aggregatori di tariffe (22%). A prescindere dal canale di acquisto ben il 60% preferisce un brand conosciuto perché offre più garanzie.
Alla domanda cosa si acquista online e cosa offline, prevalgono i prodotti turistici al 53% comprati solo online e il software e le applicazioni al 44%.



La parte più interessante dello studio arriva con l’incrocio dei dati quantitativi con le tipologie di acquirenti, già individuati nella precedente analisi qualitativa (le cosiddette 5 customer personas, rimandiamo al precedente post per rivederle): prevalgono gli utenti che fanno acquisti ragionati (70%) e coloro che comunque fanno una ricerca approfondita e di confronto (58%), segno che l’utenza è matura e assolutamente non sprovveduta.
Ed è anche preparata da un punto di vista dell’uso degli strumenti perché molto spesso le persone iniziano la ricerca su un tablet o uno smartphone e terminano l’acquisto su un pc, o viceversa. Il problema nasce quando il venditore non offre uno scenario coerente a prescindere dal device utilizzato, o peggio ancora i siti web non sono ottimizzati per il mobile, che è la criticità maggiormente incontrata.

Nel dettaglio, tra le 5 personas, prevale il tipo “meticoloso” (32% del campione), colui cioè che usa lo smartphone per il monitoraggio e il pc per l’acquisto, fa sempre confronti per verificare la varietà dei prodotti e l’affidabilità degli stessi e dell’acquirente, acquista mensilmente per una spesa di 400€ l’anno in media, con la carta di credito ricaricabile; segue il “disinibito” (17%) che acquista anche prodotti di qualità senza remore, il “tradizionalista” (14%) che usa internet più per la ricerca che per l’acquisto salvo prodotti immateriali; poi la “spensierata” (13%) sempre alla ricerca dell’offerta e del deal per non perdere l’occasione; infine la “riflessiva” (11%) che fa spese online per cose che già conosce e comunque ha già toccato con mano. Resta infine un 13% del campione che è formato da alcuni profili sovrapposti, persone cioè che hanno alcune caratteristiche trasversali rispetto ai tipi individuati dall’analisi qualitativa.

Per  un approfondimento:


e se volete scoprire che tipo di utente siete, fate il test


Io son uscito come “disinibito” al 91% (come dice l'immagine sopra) ma sinceramente non mi somiglia: la barba non ce l’ho! J


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lunedì 7 ottobre 2013

La Semplicità del Turismo 2.0


Il turismo del futuro? Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza. Carlo Petrini – Slow Food

Cosa c’è di più dannatamente semplice nelle parole del fondatore di Slow Food e Terra Madre? E quindi cosa c’è di più semplice che fare accoglienza o rendere una destinazione ospitale e quindi attrattiva verso il mondo del turismo?

La frase di Petrini fa ripensare a quando la vita era meno frenetica, con meno tecnologia, ma più schietta e “vera”. Il marketing che aveva come obiettivo-target il cliente, con una comunicazione unilaterale (dall’azienda verso il mercato) ha creato strati di illusione sui prodotti turistici o magari dei sogni che non si sono avverati, mentre la genuinità dei luoghi andava disperdendosi.

L’avvento di internet e del web 2.0, con il passaparola online, hanno dato un ruolo centrale all’ospite che non è più destinatario della comunicazione ma soggetto attivo nella comunicazione, smascherando quei sogni o quelle illusioni che una brochure ben fatta creavano agli occhi e disgregavano nella realtà.

Magari è un concetto forte, ma questa trasformazione, ancora in atto, “costringe” gli operatori all’etica, a promuovere e vendere ciò che effettivamente il prodotto è. Questo vale per un’impresa turistica come per una località turistica, i cui destini sono fortemente intrecciati.

Come dice il Petrini, il turismo “parte dai cittadini residenti”, perché l’esperienza che il turista cerca in un luogo è socializzazione, quella reale non online, perché l’uomo è un animale sociale. In questo bisogna aggiungere, che le capacità della comunità ospitante ad accogliere, come la qualità della vita, non dipendono soltanto da fattori economici, ma anche dalla questione culturale. Il grado culturale di una comunità è misurato dal modo in cui si mantengono in vita le tradizioni e si tramanda il sapere locale (storia, folklore, costumi, gastronomia, ecc.) di generazione in generazione e da quanto la stessa comunità riesce a fare e ad agire come corpo unico verso comuni obiettivi. Insomma deve saper fare rete sia per mantenere vivi i nodi della propria storia sia per avere una visione al futuro.

Del resto la frase di Petrini ha un suo “retroterra” immenso che raccoglie il concetto di rete e quello di “co-produttori”, con cui si intendono i consumatori. In uno dei suoi libri, “Terra Madre, come non farsi mangiare dal cibo”, Petrini propone questa alleanza non solo tra produttori ma tra produttori e consumatori, dando un valore politico al cibo ed al suo consumo. Terra Madre infatti è una associazione mondiale di agricoltori, di comunità del cibo, di piccoli lavoratori della terra, insomma una grande comunità dove circolano esperienze e idee nella diversità delle genti e delle tradizioni. E nel suo manifesto, il fondatore di Slow Food propone che i consumatori diventino co-produttori, nel senso di consumatori responsabili, che utilizzano correttamente l’energia, sono contro gli sprechi, conoscono le stagioni e i relativi prodotti autoctoni, tutto questo a favore delle produzioni locali.

E’ chiaro che non si può in poche righe descrivere compiutamente tutto il pensiero di Terra Madre, ma i concetti di rete e di consumatore protagonista si sovrappongono nel sistema turistico 2.0, con quelli di internet e di ospite/soggetto attivo nella rete e nella comunicazione. E la frase a cappello di questo post è la naturale intersezione (o contaminazione) dei due mondi.

E non è di una semplicità disarmante ciò che ci dice Petrini sul turismo?

Si, però….


La semplicità è la sofisticazione suprema. Leonardo Da Vinci

P.S.: a proposito di felicità, mi piace citare (e invitarvi a vedere) l’esempio delle Fiji, riportato da Officina Turistica: “un popolo felice è di per sé una destinazione”, a conferma, se ce ne fosse bisogno delle parole di Carlo Petrini.

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venerdì 4 ottobre 2013

Maremma, capitale della cultura a “loro insaputa”.

Una delle componenti fondamentali di un territorio e di una comunità è la cultura, intesa come patrimonio storico-artistico e di tradizioni ed è uno dei fattori attrattivi dei flussi turistici. Di cultura si mangia, ma ce ne accorgiamo solo quando, in ambito turistico, parliamo delle città d’arte, come Firenze, Venezia e Roma, mentre siamo un po’ più timidi quando parliamo di Maremma Toscana. Eppure, basta chiedere ai nostri ospiti (turisti) quanto c’è da vivere culturalmente nei nostri luoghi.

Ci arriva anche l’Europa in soccorso a questo tema: a pagina 3 della Guida per le città candidate a capitale europea del 2019 dice: «Ogni euro investito nella manifestazione può generare da 8 a 10 euro e quindi la manifestazione può contribuire alla crescita e all’occupazione». Personalmente credo che non ci dovrebbe essere bisogno di una guida, pure se scritta dall’Unione Europea, ma se non altro il concetto è ribadito in modo autorevole.

E’ notizia di questi giorni, infatti, che Grosseto e la Maremma sono candidate a Capitale Europea della Cultura per il2019, grazie all’azione di privati, Maurizio Cont e Gianmarco Serra, due artisti maremmani che hanno presentato il progetto. Ne è scaturito un dibattito sulla stampa locale che dimostra quanto e come la maremma sia una comunità, nel senso di un insieme di persone con obiettivi uniti e condivisi. Tanto che il Sindaco del Comune di Grosseto e il Presidente della Provincia hanno espresso il loro favore a candidare….Siena!

Per capire come spesso i rappresentanti politici non perdono occasione per nascondere la loro distanza dalla realtà, facciamo riferimento ad un progetto positivo, tra l’altro nato con il contributo dell’assessorato al Turismo della provincia, il cui report conclusivo è stato presentato in un convegno nei giorni scorsi: Maremma network for Tourism. Si è sostanzialmente trattato di un corso che ha coinvolto 300 operatori nel mondo del web 2.0 e ne è nata, “a loro insaputa”, un’associazione (i Maremmans) di “operatori della Maremma Toscana che promuove l'autenticità del territorio attraverso la voce dei propri abitanti”.

L’associazione non era il fine ultimo del corso, ma è nata spontaneamente (senza che Sindaco e presidente della Provincia se ne accorgessero), perché evidentemente esiste un filo culturale, probabilmente nascosto, che lega i maremmani nell’essere un corpo unico dietro a finalità che guardano al futuro e al bene collettivo. La promozione 2.0 è una testimonianza, una bella testimonianza.

E la presentazione del progetto per la Capitale della Cultura Europea è un altro bell’esempio.

Forse è superfluo mettere sulla bilancia le possibilità che ha il nostro territorio di fare una bella figura in questa “gara” o le motivazioni per cui questa candidatura vada portata avanti, anche se poi non dovesse andare in porto; perché comunque nel mettere a lavoro un po’ di teste pensanti e fare squadra dà un grosso stimolo a tutti.

E invece è tradito sul nascere dai propri rappresentanti istituzionali, che non riescono proprio a fare squadra. E rispetto alle istituzione la Guida succitata mette in guardia: «Altri problemi possono sorgere dal mutamento delle autorità politiche dal momento della nomina a quello della manifestazione quando la nuova configurazione politica non condivide l’impegno preso dalla precedente. È quindi importante cercare di trovare consenso politico fin dall’inizio». Qui non si tratta di un cambio di configurazione politica, ma di qualcosa che si è rotto: quel filo culturale che lega i maremmani si è spezzato, ahinoi, all’entrata dei palazzi della politica.


                                         
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